Di Agostino Zurma pubblicato il 09/02/18
Una veloce ricognizione mentale per calcolare i tempi, si ce la posso fare ! In macchina c’è tutto l’occorrente, boilies e cucchiaione, le scarpe da “pastura”. La mia auto conosce il percorso a memoria, potrei lasciarla e sicuramente mi condurrebbe senza errore alla postazione, venti minuti di strada percorsi in un attimo. Arrivo, mi preparo, scendo l’insidioso tragitto e respiro a pieni polmoni il mio fiume, l’aria ricca dei profumi delle sue correnti e della sua vegetazione, ascolto il suo inconfondibile richiamo lasciandomi trasportare in piacevoli ricordi. Con lanci calibrati inondo la zona di esche cercando di farle cadere nei punti dove poi poserò le insidie, calcolo con attenzione le correnti per non disperdere le aromatiche cibarie e consentire ai pesci di trovarle laddove poi incroceranno i miei uncini.
Fatto! Riprendo la via del ritorno sapendo che all’indomani e per giorni ancora la storia si ripeterà e non cesserà sino a quando non terminerà il mio legame con il Grande Fiume.
Parleremo di corte sessioni, intendo come tali le uscite riferibili ad una decina di ore poco più. Molti storceranno il naso nel sentire simili “tempi” identificando il carpfishing come una tecnica che, per dare risultati, deve appartenere ad un regime temporale di tutt’altra durata, ma le cose non stanno proprio così. E’ indubbio che qualora la permanenza in un luogo si protragga per diversi giorni, o addirittura settimane, le possibilità di catturare l’esemplare di taglia aumentino, ma è altrettanto vero che questo può succedere comunque qualora i nostri comportamenti siano ben studiati ed efficacemente concretizzati, poi un poca di fortuna non guasta.
Primo: la postazione
Questo articolo è dedicato al grande fiume il Po, acque correnti quindi, contesti difficili ma nello stesso tempo affascinanti ed imperdibili della serie”se lo provi non lo abbandoni”
Prima difficoltà trovare il giusto spot. Nel caso in cui non si sia dotati di barca con ecoscandaglio il lavoro diventa abbastanza impegnativo.
Valuteremo la zona con una iniziale ispezione della riva e del fiume,percorrendolo a piedi lungo la strada arginale.
Rigiri di corrente, ampie zone di sassaie o rive a strapiombo, grossi alberi caduti in acqua ma ancorati al terreno dalle radici residue atti a determinare un rallentamento del corso del fiume, sono condizioni che potranno dare vita a spot interessanti.
Ma il vero lavoro deve ancora venire. Discesa la sponda, facendoci largo tra la vegetazione che in molti casi apparirà veramente inaccessibile( ricordiamo di rispettare l’ambiente, non tagliamo arbusti, basta spostarli e camminarvi sopra) raggiunta la riva possiamo iniziare a sondare accuratamente il fondale presente. Naturalmente se la postazione non possederà validi requisiti riprendiamo la strada e riproviamo in diversi settori finchè non faremo bingo.
Cosa dobbiamo considerare nel porre all’esame la zona:
c) una profondità di rilievo, almeno 4,5- 6.5 mt , se troviamo tratti nei quali scenda a 8,5-9,5 mt saremo sicuri di avere individuato uno spot decisamente valido anche per il periodo invernale.
d) un fondale decisamente duro ed il più possibile privo di massi.
e) la vera e propria sassaia che offre sempre sorprese importanti
All’opera
Due sono i metodi che ci consentono di capire quanti metri separano la superficie dell’acqua dal fondo, il primo manuale, non di elevata precisione ma certamente sufficiente per effettuare una scelta , il secondo tecnologico con limite di errore vicino allo zero. Partiamo dall’attrezzatura: una buona canna attrezzata con un piombo di almeno 170 gr, un ecoscandaglio con sonda ,un paio di stivali a coscia e camicia a maniche lunghe.
Nella versione meccanica si dovrà lanciare il piombo e ritmare i secondi che passeranno dal momento del suo contatto con l’acqua sino a quando non toccherà il letto del fiume. Ad ogni secondo corrisponderà circa un metro. Si provi in varie direzioni, sia a monte che a valle e se nel caso ci trovassimo in una zona del fiume dove non insiste una forte corrente allunghiamo il tiro anche molto verso l’esterno. Questo ci permetterà di individuare decisi cambi di profondità atti a generare interessanti plateau che sono generalmente ottime alternative da avvicendare ai profondi canaloni. Naturalmente sarà la velocità della corrente a stabilire la possibilità che avremo di pescare o meno in queste interessanti zone, il più delle volte ricche di alimento naturale.
Nel caso fossimo in possesso della sonda, una volta collegata alla lenza la lanceremo a monte e grazie al trasporto che effettuerà la corrente, potremo leggere nell’ecoscandaglio in modo perfetto la conformazione del fondo sottostante. Facciamo ridiscendere la sonda più volte a distanze diverse da riva per capire esattamente dove si trovano i cambi di profondità in forma marcata.
In ambedue i casi, in seguito, valutiamo con attenzione la struttura del fondale,questo dovrà risultare duro, compatto e non eccessivamente cosparso di massi. Comunque se il nostro piombo ogni tanto intercetterà qualche grosso macigno non disperiamoci e non lasciamoci indurre a portare la nostra ricerca altrove. Si dovrà approfittare della circostanza, sarà sufficiente condurre una condotta di pesca particolare per riuscire, dopo le sicure abboccate, a non perdere in seguito le catture. Conoscere da subito con precisione il nostro spot, ci darà sicuramente dei vantaggi in termini di risultati veloci e nel nostro caso questa è la finalità.
Il momento dei terminali
Il posizionamento dei terminali avverrà naturalmente in funzione delle risultanze della nostra indagine conoscitiva preliminare. Proviamo a considerare delle diverse opzioni.
Tre ipotesi che nel grande fiume esistono con frequenza e che determinano, come detto, precise esecuzioni.
Nel primo caso i lanci saranno di modesta lunghezza 10-25 metri e andranno eseguiti angolandoli in sequenza. La canna più a monte perpendicolarmente a noi e l’ultima verso valle allungando il tiro di parecchi metri.
Opzione b, questa volta uno dei nostri terminali andrà sicuramente indirizzato laddove la profondità diminuisce. Ci aiuteremo con uno o due tendifilo per tenere ancorata la madre lenza sul fondo impedendo il più possibile lo scorrimento del piombo. Le restanti lenze seguiranno le indicazioni precedenti .
Nell’ultima alternativa abbiamo la possibilità di sondare anche la parte a monte che non ci deluderà sicuramente, una canna sulla perpendicolare e l’ultima a valle completeranno la disposizione.
In tutte le circostanze si abbia l’accortezza di lasciare filo, dopo il lancio, in modo che la zavorra prenda il fondo il più possibile in corrispondenza del punto di contatto con la superficie liquida.
Agostino Zurma
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